È noto soprattutto per aver prestato voce a Oliver Platt nei film I tre moschettieri, Pronti alla rissa, Liberty Stands Still, Hope Springs, Schegge di April e Casanova. Ha diretto il doppiaggio e adattato in lingua italiana i film della saga Pirati dei Caraibi e i film della saga di Guerre stellari dal 2015. In aggiunta la saga Transformers, i primi quattro capitoli della saga Jason Bourne, Animali fantastici e dove trovarli, Billy Elliot, Guida galattica per autostoppisti, King Kong, Godzilla, Mission: Impossible - Rogue Nation, Warcraft - L'inizio, Inferno e Mission: Impossible - Fallout. Come film d'animazione, si è occupato di Bee Movie, Star Wars: The Clone Wars e WALL•E. Come serie animate, Buzz Lightyear da Comando Stellare, Star Wars Rebels e Star Wars: Forces of Destiny. Ha collaborato anche alla traduzione di E un'altra cosa... di Eoin Colfer.

Cosa sognava di fare da bambino?


È passato un sacco di tempo, non so se me lo ricordo (ride). In realtà, sognavo di fare non proprio quello che faccio, ma qualcosa di molto simile: volevo fare l’attore, che è poi è quello per cui ho studiato e che ho cominciato a fare quando ho iniziato a lavorare. Lavoravo a teatro già quando avevo 16 anni, nei teatrini off romani mentre facevo il liceo, poi, dopo il liceo, con una compagnia di professionisti (allora c’erano le cooperative teatrali). Subito dopo, l’Accademia, poi il teatro e, a un certo punto, è arrivato il doppiaggio.


Quando è iniziata la tua carriera?


La mia carriera è iniziata negli anni ’70, quando a 16 anni ho cominciato a fare delle cose, per esempio di Ionesco, in compagnie di ragazzi. Il mio regista di allora, Claudio Jankowski, fa ancora il regista, ha il suo laboratorio teatrale. Nel ‘73 sono entrato nella compagnia di professionisti, la Compagnia dell’Atto: lì sono rimasto un anno, poi ho fatto l’Accademia e, in seguito, ho avuto varie esperienze con compagnie professionali, con Aroldo Tieri, Paolo Stoppa, Giancarlo Sbragia. Dopo è arrivato il doppiaggio: nell’‘81 ho cominciato ad affacciarmi seriamente e nelll’82 è diventata un’occupazione stabile. Da allora faccio questo. Dagli anni ‘90 ho cominciato con le prime direzioni, i primi dialoghi e dalla fine degli anni ‘90 mi occupo solo di direzione dialoghi.

Oggi sei un professionista stimato e affermato. Cosa diresti al tuo “io” principiante?


Al mio “io” principiante non saprei che dire, ma gli direi innanzitutto che si deve divertire, che deve fare essenzialmente quello che gli piace perché, se fai quello che non ti piace, vivi male. Poi ci possono essere delle deviazioni durante il percorso; per esempio, io oggi non faccio esattamente quello che volevo fare all’inizio, ma non è una cosa completamente diversa. Gli direi di crederci, fondamentalmente, ma anche di prepararsi, di studiare e di dare tutto perché, soprattutto nelle carriere artistiche, è la tua vita. Non puoi pensare che sia un lavoro e poi, a parte, hai la tua vita.

Quali difficoltà comporta il lavoro su titoli di grande calibro, come Star Wars, Animali fantastici, ecc.? Hai mai sentito l’“ansia da prestazione”?


Mi verrebbe da dire che comporta le stesse difficoltà che comporta qualunque altro lavoro. Io tendo a prendere con lo stesso spirito tutto, al di là del fatto che oggi faccio solo cose “di questo calibro”, come dite. Però, diciamo che anche all’inizio, qualunque cosa facessi, ci lavoravo così. Le difficoltà vere e proprie sono tecniche: a volte, per esempio lavori su preliminari che si vedono poco e niente; altre volte, non vedi neanche il film mai per intero a colori ma solo la copia che ti mandano, in cui mancano delle battute che poi ti arrivano all’ultimo momento; altre volte, ci sono scene in cui non si sa che fanno, non ci sono musiche ma solo dialoghi. Per Star Wars, per esempio, lavori su materiale improbabile. L’ansia di prestazione la sento sempre e non la sento mai. Diciamo che la sento come una responsabilità che mi dà anche ansia perché, a volte, puoi sbagliare la traduzione di una battuta senza accorgertene o te ne accorgi all’ultimo momento. Succede soprattutto su titoli che comportano una “fan-base agguerrita” (per usare un eufemismo). Nel caso di Star Wars devi essere zen. Quando esce sai già che il doppiaggio verrà preso male, ti insulteranno, non piacerà a nessuno di quelli che scrivono sui social (di quelli che vanno a vederlo spero di sì, anche perché mi auguro che ci siano ancora persone che vanno al cinema per vedere il film e non per criticare il doppiaggio, sentire le voci, ecc. ).

Al mio “io” principiante non saprei che dire, ma gli direi innanzitutto che si deve divertire, che deve fare essenzialmente quello che gli piace .


Come sei passato dalla traduzione alla direzione del doppiaggio?


Io non sono passato dalla traduzione al doppiaggio, ho fatto il contrario. Come ho già detto, infatti, vengo da una formazione da attore e, a un certo punto della mia vita (racconto sempre questo episodio perché è vero e la dice molto lunga), stavo doppiando A-Team e mi lamentavo un po’ dei dialoghi, del fatto che potessero essere più vividi, spiritosi, ecc. E mi hanno detto: “Se sei così bravo, falli tu!”. Ho cominciato a fare i dialoghi e ho continuato a fare i dialoghi. In realtà, il mio approccio è sempre stato molto da attore. Una volta iniziato a fare i dialoghi, mi sono reso conto che non volevo una traduzione fatta da qualcun altro, per cui mi sono messo seriamente a studiare l’inglese e poi anche la traduzione. Mi è stata molto d’aiuto una mailing list che si chiama Biblit, nella quale stavo all’inizio e poi, come molti altri, mi sono tirato fuori per vari motivi… Questa è un’epoca in cui alla gente piace cercare la polemica, il pelo nell’uovo, un’epoca in cui solidarizzare viene preso come un gesto di debolezza.


Hai avuto la “fortuna” di tradurre, adattare e di dirigere il doppiaggio della stessa opera audiovisiva, come Guida galattica per autostoppisti o Star Wars – Il risveglio della forza, per fare solo alcuni esempi. Ti è capitato come direttore di doppiaggio di dover modificare l’adattamento svolto da un altro traduttore e di ricevere delle lamentele? Come ci si sente “dall’altra parte”?

Guida galattica per autostoppisti è molto carino, avevo anche letto i romanzi di Douglas Adams, che mi piacevano molto. Io non sono un fan di niente e poi mi dimentico sempre tutto, ma quello in particolare me lo ricordavo perché erano veramente visionari, divertenti.

Sì, mi è capitato di avere dialoghi di altri adattatori. Se ho ricevuto lamentele? Una mi ha anche tolto il saluto, però le avevo fatto notare che aveva tradotto male una serie di cose e lei mi disse che aveva chiesto aiuto a un’amica americana perché era madrelingua. Gli stessi adattatori a volte stentano a capire la differenza tra sapere una lingua, essere un madrelingua e saper tradurre. È un esempio banale e comune, ma è come dire che sai scrivere e quindi sei uno scrittore. Sai la lingua, sei un traduttore. Non funziona così.

Sono convinto che la lingua debba essere viva e per mantenerla viva non si deve stare con il fucile puntato, cosa che non fa più neanche l’Accademia della Crusca. La Crusca è addirittura avanti rispetto a chi non sa l’italiano o chi pensa di saperlo ma non si è mai posto il problema di approfondire delle questioni linguistiche dove scoprirebbe che, tante cose che ritiene sbagliate, non solo sono giuste ma sono doverose per rispetto alla lingua che è viva e che si evolve.

Dunque, come mi sento dall’“altra parte”? Quando ho fatto io i dialoghi per altri –cosa che non faccio più da tanti anni–, spesso non capivano cosa avevo scritto o magari non avevano visto neanche il film. Dall’altra parte ci si sente male quando ti correggono qualcosa in sala che invece è giusta. È per evitare questo senso di frustrazione che ho fatto di tutto per poter seguire i miei dialoghi anche in sala .

Con lo sviluppo delle tecnologie, i tempi di lavoro e di produzione si sono ridotti. Quali strategie di lavoro adotti per fare presto e bene?


Non adotto strategie di lavoro per fare presto e bene, anche perché, come si soleva dire, “presto e bene non vanno insieme”. Per mia fortuna, io lavoro su prodotti dove ho dei tempi che mi permettono di approfondire, di scavare (anche se non come un tempo)... Cerco di usare bene la tecnologia, grazie a questa elimino dei tempi morti che dedico invece alla parte artistica. Per fare presto e bene, un sistema c’è: basta prepararsi bene prima di andare in sala. Se l’adattamento è mio, io so dove sono i punti deboli e sono pronto a correggerli se si verificasse che sono effettivamente dei punti troppo deboli da correggere. Ripeto, per fare presto e bene, bisogna andare in sala molto preparati e, una volta lì, non perdere tempo.

Sono convinto che la lingua debba essere viva e per mantenerla viva non si deve stare con il fucile puntato, cosa che non fa più neanche l’Accademia della Crusca.


Sei un uomo a tutto tondo: sei anche noto per aver prestato voce ad alcuni personaggi mitici come Oliver Platt nei film I tre moschettieri, Pronti alla rissa, Liberty Stands Still, Hope Springs, Schegge di April e Casanova oppure a Tom Hanks nel telefilm Henry e Kip o a Dennis Quaid in Big Easy - Brivido seducente, ma ritroviamo la tua voce anche in qualche cartone animato. In quale di questi doppiaggi ti sei divertito di più? C’è un personaggio che ti sta particolarmente a cuore?


È vero che sono un uomo a tutto tondo, infatti mi sono messo a dieta per essere un po’ meno tondo. Ho prestato la voce a un sacco di gente negli anni. Tom Hanks si è perso nella notte dei tempi (ride): ti ringrazio per averlo menzionato, sono stato il primo a doppiarlo in Italia ed è stata la prima e l’ultima volta.

Io mi sono divertito sempre. Ho un ricordo molto bello e divertente proprio di quella serie, Henry e Kip (si chiamava Bosom Buddies in originale), forse perché eravamo tutti molto giovani. Il doppiaggio che ricordo con più piacere è A-Team, anche perché lì ho avuto modo di imparare tantissimo da quella che poi è stata la mia principale maestra, Fede Arnaud, una delle direttrici storiche di quei tempi. Sberla degli A-Team è il personaggio che ricordo con più piacere è quello per cui ancora mi riconoscono perché la serie va ancora in onda.

Al giorno d’oggi, il pubblico possiede un livello di comprensione delle lingue straniere più alto rispetto a pochi decenni fa e sempre più gente guarda i film in lingua originale. Cosa pensi del futuro dell’industria del doppiaggio? Credi che subirà un calo della domanda?

Non so se subirà un calo della domanda, con queste piattaforme digitali stiamo vivendo invece un nuovo boom del doppiaggio perché comunque richiedono tutte le lingue, come è giusto che sia. C’è questo mito che il doppiaggio c’è solo in Italia: non è vero, si doppia in tutto il mondo, nei paesi più improbabili. Credo, però, che subirà un ulteriore calo della qualità perché c’è una forbice molto ampia tra i doppiatori e gli attori. Un tempo, gli attori facevano di tutto (cinema, teatro, televisione), era la “categoria” degli attori; oggi invece ci sono i doppiatori che nascono come tali e gli attori sono considerati degli eventi sporadici e forse sono anche mal visti, in un certo senso. Io credo che il doppiaggio rischi di diventare sempre più simile a un sottotitolo audio. I paesi dell’Est, per esempio, doppiano bene perché hanno dei signori attori e, soprattutto, un’educazione all’ascolto dell’originale. Per me il doppiaggio –un po’ come la traduzione– vuol dire riproporre una versione il più possibile simile alla versione originale, nei limiti della trasposizione culturale, nei limiti della traducibilità o meno di tante cose.

Un tempo si sentiva l’originale, ci si faceva un’idea, ma gli attori di allora avevano una personalità tale che mettevano molto del loro. Oggi si fa molta più attenzione a cercare di essere più fedeli possibile alla recitazione dell’originale, al colore della voce originale. Si privilegiano i tempi di consegna, a volte si sta più attenti alla traduzione che all’interpretazione, ma è rischioso perché il lavoro globale ne può risentire.

Chissà se in un futuro ci sarà una lingua trasversale che abolirà il doppiaggio. Ci tengo però a dire soltanto una cosa, dato che spesso sento dire che il doppiaggio è la causa per cui in Italia non si parla l’inglese. Secondo me, in Italia non si parlano le lingue perché non si studiano bene le lingue. Se un italiano vuole studiare le lingue, le impara. Credo non si faccia abbastanza attenzione all’insegnamento delle lingue, per cui il problema dell’inglese non è il doppiaggio. Non è che in Svezia sappiano l’inglese perché non fanno il doppiaggio, ma non fanno il doppiaggio perché sanno l’inglese. Io guardo i prodotti audiovisivi in originale, in inglese, ma anche in polacco, Hindi, francese, spagnolo, nella lingua originale e poi do un’occhiata al doppiaggio per vedere come sono state risolte alcune cose. Per me guardare l’originale è sempre un arricchimento di suoni, di interpretazioni, è una mia passione. Credo che mi sia molto utile per il mio lavoro perché, come dicevo, l’attenzione all’originale nasce anche dal capirlo. È importante capire l’intenzione degli attori quando recitano. Insomma, è un discorso complesso. Ovviamente, io parlo basandomi su quello che faccio, sul mio lavoro. So che posso dire anche cose non condivisibili o sbagliate (quella dell’inglese no, ne sono sicuro).

Avremmo tante domande da farti sull’adattamento dialoghi di Star Wars, ma non vogliamo fare nessuno spoiler e le rimandiamo ad aprile. Sarà un onore vederti intervenire insieme al collega spagnolo Quico Rovira-Beleta. Ti ringraziamo nuovamente per aver accettato di partecipare a questa prima edizione di ALP!


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